E' naturale che Napoli sia la città del mito e del soprannaturale dove la Morte, che ne ha segnato storia e leggende, abbia un rapporto di confidenza che facilmente sfocia in familiarità, disinvoltura di modi e di espressione, terreno fertile per umorismo e ironia. Gli stranieri la visitano con circospezione ma al tempo stesso divertiti. Consapevoli di trovarsi in un luogo unico al mondo, nel bene e nel male.
venerdì 31 maggio 2013
‘O SCARTELLATO
‘O Scartellato così chiamato nel dialetto napoletano non è altro che il gobbo.
Egli è una figura popolare molto nota nella tradizione napoletana e stando alle superstizioni porta fortuna toccargli la gobba. Secondo le antiche credenze infatti, lo scartellato è indice di buon augurio - porta benessere, ricchezza e prosperità - pertanto è visto come l’antagonista dello jettatore.
Nella Smorfia napoletana ‘o scartellato corrisponde al numero 57, mentre nella realtà partenopea è un singolare amuleto fatto di plastica, di corallo o di altro materiale ancora, ed è usato solitamente come il tipico“ curniciello” (corno) rosso napoletano.
Lo scartellato ha un enorme gobba alla schiena e questa sua deformazione fisica lo costringe a camminare chino in avanti, ma bisogna aggiungere che nell’immaginario collettivo è raffigurato con un cilindro nero in testa, con una giacca nera, papillon rosso, camicia bianca e infine le sue gambe hanno proprio la forma del “curniciello” rosso.
Nel 1932, fu realizzato anche un film sulla figura di questo personaggio popolare, trattasi del primo film sonoro di Raffaele Viviani, per la regia di Alessandro Blasetti.
mercoledì 29 maggio 2013
L' AGLIO
L'aglio, da sempre ha avuto un peso importante nel campo dell'occulto: è un amuleto contro spiriti cattivi.
La funzione di amuleto è tipica delle piante del sottosuolo, sacre agli inferi che nella tradizione precristiana mediterranea, non avevano valenza negativa, ma impersonavano le energie positive della terra.
Il nome sanscrito dell'aglio significa "uccisore di mostri" e pertanto si diceva avesse potere contro streghe e vampiri grazie alle sue proprietà antibatteriche in quanto questi spiriti erano considerati dei parassiti.
In Egitto l'aglio era considerato alla stregua di una divinità e veniva somministrato agli schiavi per aumentare la loro resistenza fisica. Anche nella tomba del faraone Tutankhamon sono stati trovati bulbi di aglio messi lì con lo scopo di allontanare gli spiriti cattivi . Il valore che essi gli attribuivano era infatti tale che meno di sette chilogrammi bastavano per acquistare un giovane schiavo. Si narra addirittura che durante la costruzione di una piramide, essendo venuta a mancare questa preziosa pianta, gli schiavi avrebbero dato vita al primo "sciopero" mai documentato, convinti come erano che essa aumentasse la resistenza fisica.
Gli sportivi dell'antica Grecia, lo consumavano prima delle gare, mentre i Galli mangiavano l'aglio prima del combattimento. Inoltre alcuni importanti medici greci menzionano l'aglio come antidoto al morso dei serpenti. Nell'antica Roma,quando si voleva indicare colui che apparteneva ad una classe sociale più bassa, si diceva "allium olere" (puzzare d'aglio).
Nel Medio Evo, oltre che protezione contro il demonio, veniva usato per prevenire la peste e il colera.
Sempre nel Medio Evo i medici usavano delle mascherine imbevute di succo d'aglio per proteggersi dalle infezioni. Durante il Rinascimento, l'aglio venne bandito dalle mense dei più ricchi a causa del cattivo odore che dava all'alito, ai gas intestinali e al sudore.
Oggi per ridurre l'effetto che ha sull'alito, bisogna masticare un po' di prezzemlo o qualche chicco di caffè.
E' stato accertato che il succo fresco dell'aglio esercita un'azione antisettica che combatte numerosi germi patogeni. A questo proposito, tale proprietà si rivelò estremamente utile durante la Prima guerra mondiale, quando i medici delle armate britanniche, francesi e russe, trattarono con il succo di aglio le ferite infette dei soldati, mentre durante la Seconda guerra mondiale fu particolarmente utilizzato dai medici dell'Armata Rossa, e proprio per questo motivo fu chiamato "la penicillina russa".
In Sicilia l'aglio si usava pesto con olio e aceto ponendolo sull'ombelico per guarire dai vermi intestinali. Sempre in Sicilia, inoltre, veniva utilizzato anche per curare la malattia detta purpu (polipo degli occhi) con il seguente scongiuro: si toccava la testa del purpu con uno spicchio d'aglio con cui si facevano tre croci recitando preghiere a Santa Lucia.
"NA' BBONA 'NZERTA D'AGLIE! UE' L'AGLIO"
"GUARDATE CA CAPE D'AGLIE.
SO CH'ELLE D''A FRAGOLA"
Inoltre nella smorfia napoletana, l'aglio fa 3, mentre:
- sognare di mangiare un aglio, significa attraversare un periodo triste e se si vuole giocare al lotto il numero è 9
- sognare di piantare un aglio , vuol dire che è in arrivo un'avventura sentimentale piacevole e il numero da giocare al lotto è 35
- cogliere un aglio , significa che ci saranno discussioni con i propri familiari. da giocare il 41
- sognare di cucinare un aglio, significa che la vita affettiva sarà ricca; il numero da giocare è 12.
Ecco una famosa cantilena napoletana scaramantica contro il malocchio e che Peppino De Filippo era solito cantinellare quando impersonava il famoso Pappagone. Nel recitarla bisogna fare con le mani tre gesti di corna all'ingiù:
AGLIO, FRAVAGLIO
FATTURA CA NUN QUAGLIA
CORNA E BICORNA
CAPA R'ALICE E CAPA R'AGLIO.
Significa che con l'aglio si impedisce alle fatture di quagliare ossia di ottenere risultati positivi. Le alici e le fravaglie sono i piccoli pesci e, in quanto tali, simboli di Cristo (Ichtys).
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Nella medicina popolare.
L'aglio (Allium sativum) contiene, oltre a olio essenziale, oligoelementi e sali minerali, vitamine A, B1, B2, PP e C. E' un potente battericida naturale, espettorante, antisettico e ottimo ipotensivo. Stimola il cuore, facilita la circolazione e la depurazione del sangue ed è anche un potente vermifugo.
Ma, là dove questa pianta magica, famosa fin dalle epoche più antiche, assume una importanza notevole è nella medicina popolare e nelle pratiche contro gli scongiuri, capace com’è per le doti straordinarie che possiede di tenere lontani eventi negativi e malattie di qualsiasi genere.
L’aglio è il re dei controveleni. Mangiato crudo è il vermifugo per eccellenza tant’è che ancora oggi per questa spiccata proprietà antielmintica trova largo impiego ovunque. Nelle classi popolari se ne fa anche uso topico accompagnato da precisi rituali: strofinamenti di aglio sotto il naso; cataplasmi d’aglio pesto o impasti di aglio e midollo di pane a forma di ciambella da applicare sull’ombelico e sul ventre; unzioni d’aglio pesto con olio alle fosse nasali ed alle tempie; applicazioni al collo di collane con spicchi d’aglio un po’ pestati (a questa pratica sono attribuiti poteri vermifughi veramente notevoli sia perché con tale sfilza d’agli sotto il naso il puzzo per i vermi, e non solo per essi, è assolutamente insopportabile e sia perché, essendo gli agli disposti in forma di corona, all’efficacia intrinseca del rimedio si aggiunge la notevolissima virtù apotropaica della corona stessa). C’è chi arriva a mettere teste d’aglio, a scopo precauzionale, nelle culle dei bambini.
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martedì 28 maggio 2013
TOMBOLA NAPOLETANA
È il gioco della sorte legata ai numeri inventato a Napoli nel 1734, adottato all’estero e rigirato a noi sotto altro nome (Bingo).
Si tratta della Tombola la cui genesi si lega all’esoterismo e più precisamente alla cabala, detta anche càbbala o più esattamente Kabbalah, dall’ebraico qabbàlàh che significa ricezione, con la quale si indicano le dottrine mistico-esoteriche ebraiche, riferite a Dio e all’universo, rivelate ad una cerchia ristretta di persone e poi tramandate di generazione in generazione.
Secondo la qabbàlàh, nella Bibbia non esiste parola, lettera o numero privo di un significato celato, nel solco del simbolismo sul quale si basa il mondo stesso.
Su questa base i cabalisti formarono una dottrina interpretativa che formulò una concezione secondo la quale, utilizzando la correlazione numerologica tra lettere e numeri, era possibile calcolare il numero preciso corrispondente ad ogni parola.
A tutto ciò si unì la convinzione che i sogni fossero lo sfogo comunicativo delle forze extra umane, capaci però di manifestarsi anche tramite accadimenti naturali che venivano considerati segni del destino, e subito tradotti in numeri.
Si maturò così la codificazione e la numerazione dei simboli onirici e fisici che divennero elemento per tentare la fortuna nella Napoli del ‘700, città esoterica per antonomasia, dove il Lotto nacque come gioco popolare benché clandestino.
Resa indipendente Napoli nel 1734, il re Carlo di Borbone, nel suo illuminato progetto di sviluppo sociale e di accrescimento culturale, volle ufficializzare il gioco del Lotto nel Regno per strapparlo alla clandestinità che sottraeva entrate alle casse dello Stato.
Trovò però l’opposizione del frate domenicano Gregorio Maria Rocco, uomo di grande carisma e potere, noto in tutta la città perchè capace di ispirare numerose iniziative grazie alle quali la delinquenza fu decisamente arginata.
Il frate riteneva eticamente sbagliato introdurre un simile gioco in un regno in cui gli insegnamenti cattolici erano alla base del fondamento educativo. Si arrese al Re quando questi lo convinse che il Lotto, se giocato clandestinamente, avrebbe potuto arrecare danno alle tasche dei sudditi.
I due contendenti strinsero un patto secondo il quale il gioco del Lotto sarebbe stato sospeso nella settimana delle festività natalizie per evitare distrazione al popolo in preghiera. Ma ormai quel gioco era entrato nel costume dei cittadini che a quel punto, per non doverne fare a meno, si organizzarono per conto proprio.
Fu così che la fantasia popolare fece in modo che i novanta numeri del lotto fossero infilati nei cosiddetti “panarielli” di vimini e ognuno si disegnasse delle cartelle improvvisate con dei numeri scritti a caso. Il gioco pubblico del lotto divenne gioco familiare della tombola, figlio quindi del matrimonio tra il Lotto stesso e la fantasia dei Napoletani. La parola “tombola” deriverebbe da tombolare, ovvero roteare e far capitombolare i numeri nel “panariello”.
Gioco natalizio per eccellenza, proprio perché nato nel Natale del 1734, ma la Tombola è giocata a Napoli durante tutto l’anno nei quartieri popolari dove per tradizione possono partecipare esclusivamente donne che seguono la chiassosa chiamata dei numeri effettuata dai “femminielli”, mentre agli uomini è consentito solo assistere fermi sulla porta o alla finestra.
Si tratta della Tombola la cui genesi si lega all’esoterismo e più precisamente alla cabala, detta anche càbbala o più esattamente Kabbalah, dall’ebraico qabbàlàh che significa ricezione, con la quale si indicano le dottrine mistico-esoteriche ebraiche, riferite a Dio e all’universo, rivelate ad una cerchia ristretta di persone e poi tramandate di generazione in generazione.
Secondo la qabbàlàh, nella Bibbia non esiste parola, lettera o numero privo di un significato celato, nel solco del simbolismo sul quale si basa il mondo stesso.
Su questa base i cabalisti formarono una dottrina interpretativa che formulò una concezione secondo la quale, utilizzando la correlazione numerologica tra lettere e numeri, era possibile calcolare il numero preciso corrispondente ad ogni parola.
A tutto ciò si unì la convinzione che i sogni fossero lo sfogo comunicativo delle forze extra umane, capaci però di manifestarsi anche tramite accadimenti naturali che venivano considerati segni del destino, e subito tradotti in numeri.
Si maturò così la codificazione e la numerazione dei simboli onirici e fisici che divennero elemento per tentare la fortuna nella Napoli del ‘700, città esoterica per antonomasia, dove il Lotto nacque come gioco popolare benché clandestino.
Resa indipendente Napoli nel 1734, il re Carlo di Borbone, nel suo illuminato progetto di sviluppo sociale e di accrescimento culturale, volle ufficializzare il gioco del Lotto nel Regno per strapparlo alla clandestinità che sottraeva entrate alle casse dello Stato.
Trovò però l’opposizione del frate domenicano Gregorio Maria Rocco, uomo di grande carisma e potere, noto in tutta la città perchè capace di ispirare numerose iniziative grazie alle quali la delinquenza fu decisamente arginata.
Il frate riteneva eticamente sbagliato introdurre un simile gioco in un regno in cui gli insegnamenti cattolici erano alla base del fondamento educativo. Si arrese al Re quando questi lo convinse che il Lotto, se giocato clandestinamente, avrebbe potuto arrecare danno alle tasche dei sudditi.
I due contendenti strinsero un patto secondo il quale il gioco del Lotto sarebbe stato sospeso nella settimana delle festività natalizie per evitare distrazione al popolo in preghiera. Ma ormai quel gioco era entrato nel costume dei cittadini che a quel punto, per non doverne fare a meno, si organizzarono per conto proprio.
Fu così che la fantasia popolare fece in modo che i novanta numeri del lotto fossero infilati nei cosiddetti “panarielli” di vimini e ognuno si disegnasse delle cartelle improvvisate con dei numeri scritti a caso. Il gioco pubblico del lotto divenne gioco familiare della tombola, figlio quindi del matrimonio tra il Lotto stesso e la fantasia dei Napoletani. La parola “tombola” deriverebbe da tombolare, ovvero roteare e far capitombolare i numeri nel “panariello”.
Gioco natalizio per eccellenza, proprio perché nato nel Natale del 1734, ma la Tombola è giocata a Napoli durante tutto l’anno nei quartieri popolari dove per tradizione possono partecipare esclusivamente donne che seguono la chiassosa chiamata dei numeri effettuata dai “femminielli”, mentre agli uomini è consentito solo assistere fermi sulla porta o alla finestra.
lunedì 27 maggio 2013
LA JANARA
La Janara nella credenza popolare napoletana, soprattutto in quella contadina, è una delle tante specie di streghe che popolavano i racconti popolari.
La Janara usciva di notte e si intrufolava nelle stalle dei cavalli per prenderne uno e cavalcarlo per tutta la notte. Completamente nuda e vecchia, una volta scoperta, aggrediva e addirittura sbranava le sue vittime.
Aveva l'abitudine di praticare le treccine alla crina del cavallo che aveva preso, lasciando così un segno della sua presenza. Tante volte il cavallo non sopportava lo sforzo immane a cui era sottoposto, e moriva di fatica. Contrariamente a tutte le altre streghe, la Janara era solitaria e tante volte anche nella vita personale di tutti i giorni, aveva un carattere aggressivo e acido.
Per poterla acciuffare, bisognava immergersi completamente in una botte piena d'acqua per poi afferrarla per i capelli che erano il suo punto debole.
L'etimologia proposta per il termine popolare Janara, metteva in connessione tale nome con il latino ianua= porta, in quanto essa è insidiatrice delle porte, per introdursi nelle case.
Per allontanarla si è soliti mettere, davanti alla porta di casa, una scopa di fascine; La Janara è costretta a contare i rametti sottili; intanto scompare la luna e, con essa, anche il pericolo. Ancora oggi una piccola scopa, appesa alla porta o al muro di casa, è ritenuta uno "scaccia-guai".
venerdì 24 maggio 2013
BELLA MBRIANA
La "bella mbriana", nella credenza popolare napoletana, è lo spirito della casa e rappresenta uno spirito benigno. Avere questa presenza nelle case significa benessere e salute. Di aspetto avvenente regna, controlla e consiglia gli abitanti. Nel corso dei secoli, e ancora oggi, è l'antagonista del Munaciello. E' anche detta Meriana oppure "'Mmeriana". La derivazione etimologica proviene dal latino meridian, in cui mariana indica l'ombra quasi a rappresentare un'ombra sotto cui ripararsi oppure indica il significato etereo dell'essere. A testimonianza dell'affetto dei napoletani verso questa figura, è molto comune a Napoli, il cognome Imbriani derivante, appunto, da mbriana.
Alla bella 'Mbriana piace l'ordine e la pulizia e per questo una cosa trascurata la rende irascibile. Quando si decideva un trasloco, si cercava di parlarne fuori casa, in modo da non farla ascoltare per non tirarsi addosso le sue ire.
In antico, si metteva a tavola un posto in più per lei e una sedia libera perché poteva entrare 'a bella 'Mbriana e sedersi per riposare. Se tutte le sedie fossero state occupate la nostra amica sarebbe potuta andar via con tutte le sciagure derivanti dalla mancata ospitalità.
MUNACIELLO
Il personaggio esoterico più noto e temuto/amato dal popolo napoletano è "o' Munaciello", sorta di spiritello bizzarro che si comporta sempre in modo imprevedibile e sul quale sono sorte infinite leggende metropolitane e detti popolari.
Al comportamento dispettoso spesso si accompagnano benevoli "lasciti" in moneta contate. In questo caso non bisognava rivelare a nessuno l'episodio, pena l'accanimento del Munaciello nei nostri confronti. Non è raro un comportamento da "rattuso" in presenza delle giovani e belle donne.
Vi sono due ipotesi sulla sua origine:
La prima ipotesi vuole l'inizio di tutta la vicenda intorno all'anno 1495 durante il regno aragonese.
La bella Caterinella Frezza, figlia di un ricco mercante di stoffe, si innamora del bel Stefano Mariconda un garzone. Naturalmente l'amore tra i due è fortemente contrastato. Il fato volle finisse in tragedia. Stefano viene assassinato nel luogo dei loro incontri segreti, mentre Caterinella si chiude in un convento. Di li a pochi mesi nascerà un bambino da Caterinella. Le suore del convento lo adotteranno cucendogli loro stesse vestiti simili a quelli monacali con un cappuccio per mascherare le deformità, di cui il ragazzo soffriva. Fu così che per le strade di Napoli veniva chiamato "lu munaciell".
Gli si attribuirono poteri magici fino ad arrivare alla leggenda che oggi tutti i Napoletani conoscono.
MUNACIELLO FATTO A MANO, guarda --> ARTIGIANI NAPOLETANI
mercoledì 22 maggio 2013
LA CAPPELLA SAN SEVERO
La Cappella Sansevero dei Sangro racchiude le spoglie dei membri della famiglia si trova in Piazza San Domenico Maggiore in via Francesco de Sanctis n. 17. Tra il 1744 e il 1766, quella che in origine era una semplice chiesetta, divenne con Raimondo uno dei luoghi più misteriosi di Napoli. Egli chiamò presso di sé i più rinomati scultori e pittori perché dessero vita a un progetto tutto particolare.
Gli artisti che lavorarono nella cappella seguirono le precise istruzioni del principe e riferirono che egli fornì strani colori e un tipo di mastice che una volta asciutto assomigliava in tutto e per tutto al marmo. Il risultato è un piccolo gioiello del tardo barocco con statue, stucchi, marmi e oro. Ogni cosa ha un suo preciso significato, le statue che sono quasi tutte femminili, lanciano il loro messaggio attraverso i vari oggetti che tengono in mano o che giacciono ai loro piedi. Libri, compassi, fiori, cornucopie, caducei fiammelle e cuori.
La statua dedicata alla madre è "La Pudicizia"di A. Corradini e rappresenta una donna nuda coperta da un velo. Osservando questo velo scolpito si ha l’impressione che sia stato steso solo in seguito al completamento del corpo di donna.
Il monumento funebre dedicato al padre, Antonio di Sangro, è "Il Disinganno"di F.Queirolo e rappresenta un uomo che lotta per liberarsi di una rete. E il famoso"Cristo velato" di G. Sammartino, una scultura che lascia il segno per il suo eccezionale realismo. Sia il velo che la rete fanno pensare all’uso di quel mastice-marmo descritto dagli artisti che lavorarono al restauro della Cappella.
Forse è vero che il principe aveva creato un materiale estremamente malle
abile che una volta asciutto diventava uguale al marmo. Oppure, un liquido capace di cristallizzare qualsiasi materia rendendola simile al marmo. Materiali di natura alchemica? Può essere.
Quando si parla del principe Raimondo di Sangro sovviene immediatamente anche un altro celebre aneddoto, che riguarda la vicenda delle cosiddette macchine anatomiche. E' ancora possibile vedere questi strani e macabri oggetti nella già citata Cappella Sansevero a Napoli. Due corpi, uno maschile e uno femminile: sono composti dallo scheletro e dal groviglio inestricabile delle vene e dei capillari che avvolgono le ossa come un reticolo fittissimo.
L’intero apparato cardiocircolatorio che avvolge lo scheletro è stato, in pratica, pietrificato e ancora oggi non è chiaro come sia stato ottenuto un simile risultato. Particolare impressionante è che la donna era incinta. Sono ben visibili i resti del feto ai suoi piedi.
martedì 21 maggio 2013
FANTASMA D'AVALONS
A Napoli tutti
erano a conoscenza della tresca tra la bella Maria D'Avalos, legittima consorte
di Carlo Gesualdo principe di Venosa, famoso madrigalista, innamoratissimo
della splendida ma irrequieta Maria e Fabrizio Carafa duca D'Adria.
La nobiltà sussurra, il popolo commenta, con
divertita indulgenza, l'audacia dei clandestini amanti.
Ma l’amore rende
ciechi. Don Carlo per qualche tempo non vede o non vuole vedere quel che gli
succede intorno. Scrive d’amore pensando alla sua donna, le dedica malinconiche
melodie, e chiude gli occhi su una verità troppo dura da accettare. La passione
tra i due giovani amanti cresce ogni giorno di più, e presto anche la prudenza
viene messa da parte. Insieme, contro tutto, malgrado tutto.
Nemmeno sull'uscio
della camera nuziale di Maria sa fermare l’insaziabile desiderio. I mormorii
della città si trasformano in un coro indignato. Tutti vedono. Tutti sanno.
Tutti parlano. Solo Carlo continua ad
ignorare, a non sapere, a non parlare.
Fino a quando un
amico “premuroso”, che si assume l’onore e l’onere di informarlo, con spietata
dovizia di particolari, dell’infamia. Pazzo di dolore e di gelosia, l’uomo
tenta ancora di non arrendersi alla dolorosa verità. Concede all’adorata moglie
l’ultimo, delirante, atto di fiducia: il beneficio del dubbio. Finge di partire
per ritornare, a notte fonda, nella segreta speranza di trovare, sola e casta,
la donna che ama. Vano desiderio. Estrema e impossibile speranza. Spalancata la
porta di casa, ogni illusione si infrange miseramente contro l’immagine dei due
amanti avvinti sul talamo.
L’ira e la disperazione, troppo a lungo represse, impongono le loro crudeli ragioni.
L’ira e la disperazione, troppo a lungo represse, impongono le loro crudeli ragioni.
Il principe di
Venosa si getta su quei due corpi nudi, brandendo un pugnale colpisce accecato
dall’odio e dalla passione, e…. ancora, ancora, e …. ancora. Fino ad uccidere.
Pazzo di dolore, sporco di sangue, cammina per ore lungo le vie del centro,
piangendo disperato e fuggendo poi via.
CORNO NAPOLETANO
Il corno portafortuna è, senza dubbio, il più diffuso amuleto italiano. Le sue origini sono antichissime e risalgono addirittura ai tempi del Neolitico (3500 A.C.), quando gli abitanti delle capanne usavano apporre fuori dall' uscio un corno come auspicio di fertilità.La fertilità, allora, era abbinata alla potenza e quindi al successo. Si era soliti offrire dei corni come voto alla dea Iside affinchè assistesse gli animali nella procreazione. Secondo la mitologia, Giove per ringraziare la sua nutrice le donò un corno dotato di poteri magici. Nell’età medievale il corno per portare fortuna doveva essere rosso e fatto a mano. Il rosso simboleggiava la vittoria sui nemici e doveva essere fatto a amno perché ogni talismano acquisisce poteri benefici dalle mani che lo producono.
Il corno è il referente apotropaico (allontanante) per antonomasia: simbolo della vita, che allontana un’influenza magica maligna. Secondo la scaramanzia napoletana il corno deve essere un dono quindi per portare fortuna non deve essere comprato, inoltre deve essere: tuosto, vacante, stuorto e cu' 'a ponta (apparire rigido, cavo all'interno, a forma sinusoidale e terminante a punta).
"Essere superstiziosi è da ingoranti, ma non esserlo porta male"
E. De Filippo
CORNI FATTI A MANO, guarda --> ARTIGIANI NAPOLETANI
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